L’attuale emergenza ha evidenziato, a più livelli, il ruolo cruciale dell’information technology per la continuità del business aziendale. Secondo recenti rilevazioni di IDC (società leader nelle ricerche di mercato), il 54% delle imprese europee si è detto in questo momento intenzionato ad aumentare gli investimenti tecnologici per consentire l’accesso remoto sicuro ai propri dati e alle proprie applicazioni. La stessa IDC si aspetta che un’azienda su due faccia lo stesso per gli ambienti di lavoro virtuali. Il paradosso, spauracchio per molti, del lavoratore che a casa avrebbe prodotto di meno, si è invece concretizzato in utenti pronti a dare il meglio di sé, ma privi di quelle applicazioni strutturali e infrastrutturali idonee a svolgere correttamente e proficuamente i propri compiti.
Nonostante la crisi globale, la corsa verso la digitalizzazione prosegue inesorabile. Entro il 2022, sulle piattaforme digitali passerà il 65% del PIL mondiale, il cui incremento sarà conseguenza degli investimenti per la trasformazione digitale diretta (DX), che continuano a crescere a un tasso annuale (CAGR) del 15,5%, avvicinandosi a 6,8 trilioni di dollari man mano che le aziende diventando imprese digitali su larga scala. «E il 41% di quella spesa IT è correlata al cloud» – afferma Fabio Rizzotto, associate VP, head of Research and Consulting di IDC Italia. «Tuttavia, per diventare “Future Enterprise” c’è molto lavoro da fare. Pertanto, la prima serie di investimenti tecnologici riguarderà quelli che colmano il divario nella trasformazione digitale di un’azienda». Secondo una recente survey di IDC – il 42% delle organizzazioni globali dovrà lavorare “di riparazione”, per garantire la piena conformità con le politiche di privacy e sicurezza, o per essere integrate con altri sistemi, un’operazione essenziale per andare avanti con il percorso verso la DX. Ma quali effetti del Covid-19 ci porteremo dietro anche nel 2021 in termini di impatto sul business, sul lavoro e l’utilizzo delle tecnologie? Secondo IDC, il primo impatto sarà sulla trasformazione del lavoro, con una crescita delle modalità “ibride”. Nel recente passato, quando si parlava di “work from home”, le organizzazioni contavano in media su una percentuale del 14% della forza lavoro. Oggi, quella percentuale è salita al 45% e si prevede che entro il 2023, il 75% delle aziende G2000, secondo la classifica annuale di Forbes, si impegnerà a fornire parità tecnica a una forza lavoro ibrida per progettazione piuttosto che per circostanza, consentendo loro di lavorare insieme separatamente e in tempo reale».
Il secondo grande imperativo per le organizzazioni – spiega Rizzotto – «sarà focalizzato sulla progettazione per le nuove esigenze dei consumatori, con le esperienze contactless che faranno sentire gli utenti più sicuri.
La terza mega tendenza che avrà un impatto nel 2021 sarà l’automazione. «La pandemia ha accelerato le iniziative di automazione e continuerà a farlo – afferma Rizzotto – perché ha dimostrato come alcune attività non possono essere svolte su larga scala senza la tecnologia».
Ai trend sopra delineati, secondo Danny Allan di Veeam, va aggiunto il “machine learning”. «Le aziende si stanno già rendendo conto delle infinite opportunità derivanti dai dati a loro disposizione. Ecco perché il riutilizzo dei dati sarà un importante trend per le aziende nel corso del 2021, e molte di esse sfrutteranno la potenza del machine learning per poter trarne il maggior beneficio. Tutto ciò è ancora in una fase emergente, tuttavia, la sua adozione aumenterà man mano che le aziende si renderanno conto dell’estrema utilità nell’analizzare e riutilizzare i dati che già possiedono. Sfruttando il machine learning nel cloud, le aziende diventeranno più intelligenti».
La tecnologia da sola non basta
Stando a una recente indagine di Microsoft, il numero di imprese italiane che hanno adottato modelli flessibili di lavoro è aumentato in modo esponenziale in seguito allo scoppio dell’emergenza sanitaria, passando dal 15% dello scorso anno al 77% del 2020. I manager intervistati credono che il 66% dei propri dipendenti continuerà a lavorare da remoto almeno un giorno a settimana. Questa “nuova normalità” – «ha portato significativi benefici in termini di produttività ed efficienza ma ha altresì posto delle sfide relativamente alla possibilità di socializzare con i colleghi e di condividere esperienze e informazioni» – conferma Luba Manolova, direttore della divisione Microsoft 365 di Microsoft Italia. Infatti, gli intervistati hanno dichiarato di sentirsi meno legati ai colleghi, di avere difficoltà a delegare in modo efficace, a supportare i team virtuali e a promuovere una forte cultura di squadra. «Questo senso di isolamento – continua Luba Manolova – rischia di inibire la condivisione di idee e di ridurre la capacità di innovazione delle aziende. Rispetto allo scorso anno è stato registrato un calo sensibile nel numero di manager che dichiarano che la propria azienda possiede una cultura innovativa, passando dal 40% nel 2019 al 30% nel 2020. Inoltre, è diminuita anche la percezione dell’innovazione di prodotti e servizi, che è passata dal 56% nel 2019 al 47% nel 2020. In questo contesto, la principale sfida per le imprese – e per il dipartimento HR in particolare – è proprio promuovere una cultura di squadra anche in digitale, fornire gli adeguati strumenti tecnologici e formare i dipendenti affinché possano sfruttare appieno tutte le funzionalità a disposizione.
Il contatto con il cliente digitale
E’ indubbio che stiamo assistendo anche ad un cambiamento dei comportamenti e degli stili di acquisto. Il mercato digitale, che pur con il rimbalzo registrato non potrà assorbire tutte le perdite, rappresenta al momento la “exit strategy”. Come ne uscirà ridisegnato il B2C? «Sarà necessario ridisegnare gli spazi fisici di contatto con il cliente, siano essi destinati alla vendita nella versione più classica ma anche nella modalità digitale e automatica» – ribadisce Ombretta Fornari di Axians Italia. «In Italia, stiamo lavorando per selezionare continuamente le tecnologie emergenti che vanno in questa direzione e che garantiscano affidabilità e sostenibilità. La digital transformation ha indotto le aziende a raccogliere, gestire e conservare quantità di dati enormi rispetto al passato. Per questo assumono oggi particolare importanza le tecnologie automatizzate per consentire l’analisi in tempo reale dei flussi di dati, legate al concetto di DataOps (un modello collaborativo di data management che migliora il dialogo tra chi produce e chi utilizza i dati). Questa metodologia modifica radicalmente l’approccio alla gestione delle informazioni all’interno delle aziende, introducendo agilità, analisi predittive, con una logica di self-service».
Lo stesso ambito della customer experience si evolve verso i concetti empathy e intimacy. Il cliente è l’unico canale che conta. Con quali conseguenze?
«I concetti di “empathy” e “intimacy” affascinano, ma rendono necessaria una sana riflessione sui limiti di una loro effettiva raggiungibilità» – spiega Andrea Zinno, data evangelist di Denodo. «In un mondo digitale, possiamo profilare gli utenti osservando ciò che fanno, ma per contro è quasi impossibile capire perché lo fanno, cosa che ci consentirebbe di creare profili di ben altro valore». Ciò che possiamo fare – continua Zinno – «è aumentare la nostra capacità di osservazione, nella speranza che il “cosa” ci dia qualche informazione sul “perché” e, poiché gli occhi di un’azienda sono i dati, dobbiamo pensare a una data strategy che ci consenta di gestirli al meglio e di poter estrarre da loro il giusto valore.
Bisogna però guardarsi dall’effetto “cantina”, dove la quantità crescente dei dati, nel volume, nel formato e nella velocità, si traduce in un aumento dell’entropia, rendendo difficile trovare e utilizzare le informazioni per fornire servizi di qualità. Avere più dati significa avere più carburante per l’innovazione, a patto che tale carburante sia stoccato in sicurezza e che sia facile rifornirsene». Per sfruttare al massimo le potenzialità dei canali è necessario estrarre il massimo valore dai dati attualmente a nostra disposizione. «Perché sono i dati a valore – spiega Pedro Garcia di Minsait – che contengono le chiavi per comprendere e anticipare le tendenze del mercato e che permettono di perfezionare l’offerta fino a fornire prodotti personalizzati per ogni consumatore».
Per gestire l’emergenza e i nuovi scenari di mercato, un’altra richiesta frequente da parte delle imprese utenti è stata quella della estrema semplificazione degli indicatori aziendali – dice Paola Pomi CEO di Sinfo One – «ma con sempre più la possibilità di “investigazione” dei fenomeni aziendali, partendo dal macro-fenomeno, con la capacità di analisi dei dati temporali di dettaglio. Per le imprese è stato importante poter gestire, in modo semplice e chiaro, i dati della singola giornata, per estrarre insights in grado di dare supporto al processo decisionale e comprendere i cambiamenti del mercato, permettendo di cogliere le opportunità nascoste e affrontando le sfide grazie alle informazioni di cui si poteva disporre».
Fonte: http://www.datamanager.it/2020/12/litalia-riparte-dal-digitale-insieme-per-essere-future-ready/